(New York, 26 febbraio 1918 – Eugene, 8 maggio 1985) è stato un autore di fantascienza statunitense.
Nato come Edward Hamilton Waldo, dopo il divorzio dei suoi genitori, all'età di undici anni assunse il cognome del patrigno, William Sturgeon, l'uomo col quale sua madre si era risposata. Dopo aver fatto una miriade di mestieri, all'età di 21 anni Sturgeon si dedicò alla scrittura e vide un suo racconto, Ether Breather, pubblicato nella rivista Astounding. Nella stessa rivista, ed in altre come Unknown e Argosy Magazine, furono pubblicati i suoi lavori successivi, principalmente racconti. Sebbene le numerose riviste del tempo favorissero la scrittura e la pubblicazione di storie brevi o a puntate, la produzione di Sturgeon comprese anche alcuni romanzi, divenuti molto famosi, tra cui spicca Cristalli sognanti, che mette in crisi e in discussione il concetto stesso di ruolo e identità, stravolgendo le percezioni della realtà. Tra la fine degli anni sessanta e gli inizi dei settanta prese parte alla scrittura delle sceneggiature di alcuni episodi della serie televisiva Star Trek, introducendo il concetto di Prima direttiva, ripreso nella produzione seguente. Alcune delle sceneggiature furono effettivamente trasposte in episodi (Shore Leave del 1966 ed Amok Time del 1967), mentre altre rimasero sulla carta. I romanzi ed i numerosi racconti fanno includere Sturgeon nella lista dei migliori scrittori dell'Età d'oro della fantascienza, insieme a Heinlein, Asimov, Brown, Simak, Clarke e Van Vogt.
Nel 1951 Sturgeon coniò la frase oggi nota come “Legge di Sturgeon”: “Il novanta per cento della fantascienza è spazzatura, ma in effetti il novanta per cento di tutto è spazzatura”. La frase era in origine conosciuta come la “Rivelazione di Sturgeon”: Sturgeon stesso disse che la prima versione della legge di Sturgeon era “Niente è sempre assolutamente così” (Nothing is always absolutely so), tuttavia oggi generalmente ci si riferisce alla frase “Il novanta per cento di tutto è spazzatura” (Ninety percent of everything is crud (o crap): il termine inglese è più forte).
Roger Joseph Zelazny (Euclid, 13 maggio 1937 – Santa Fe, 14 giugno 1995) è stato uno scrittore, autore di fantascienza e di fantasy statunitense. Ha vinto il premio Nebula per tre volte ed il premio Hugo sei volte, di cui due per i romanzi Signore della luce (Lord of Light, 1968) e Io, l'immortale (This Immortal, 1966).
Nato il 13 maggio 1937 negli Stati Uniti nella città di Euclid (Ohio), sin da giovanissimo ha dimostrato la sua vocazione letteraria scrivendo novelle e poesie a sfondo umoristico. Ebbe modo di dimostrare le sue capacità non solo durante gli studi primari e secondari, svolti presso le scuole di Euclid, ma anche durante il liceo, pubblicando sulle riviste scolastiche alcuni racconti e poemi e vendendo nel 1954 il racconto breve Mr. Fuller's Revolt, uscito sulla rivista Literary Cavalcade. Nel 1955 si iscrive alla facoltà di psicologia dell'Università di Cleveland continuando comunque a coltivare la sua passione per la scrittura, tanto da cambiare indirizzo di studi quasi subito, frequentando la facoltà di inglese e diplomandosi nel 1959 in Bachelor of Arts. Durante questo periodo continua a pubblicare alcune sue opere nelle riviste scolastiche e vince dei premi di poesia: il Finley Foster Poetry Prize due volte nel 1957 e nel 1959 e in quest'ultimo anno anche l'Holden Essay Award. Si interessa anche allo judo iniziando a praticarlo,[1] mantenendo sempre un grande interesse per le arti marziali, fino ai suoi ultimi anni di vita, diventando in seguito anche insegnante di Aikidō.[2] Nei due anni successivi frequenta l'ambiente universitario della Columbia University approfittando della permanenza a New York per interessarsi di musica, arte e respirando l'atmosfera “off” del Greenwich Village di quegli anni, rinunciando a tutto ciò nel 1960 quando si arruola nella Guardia Nazionale prima come volontario e poi coscritto fino al 1963, riuscendo comunque a laurearsi nel 1962 alla Columbia University conseguendo il Master of Arts e anche a lavorare presso la Social Security Administration di Cleveland. Sempre nel 1962 pubblica i suoi primi due opere di fantascienza: Passion Play sulla rivista Amazing Stories e Horseman su Fantastic. Nel 1963 scrive e pubblica una lunga serie di opere di fantascienza, alcune di esse firmate sotto lo pseudonimo di Harrison Denmark e sempre in questo anno ottiene la sua prima candidatura al premio Hugo per il miglior racconto breve con l'opera Una rosa per l'Ecclesiaste (A Rose for Ecclesiastes),[1] premio assegnato poi a Poul Anderson per L'infiltrazione (No Truce with Kings).[3] Nel 1964, a causa degli strascichi di un brutto incidente d'auto, è costretto a rinviare il matrimonio con la fidanzata Sharon Stebler che sposerà alla fine dello stesso anno, il 5 dicembre, e dalla quale si separerà nell'estate dell'anno successivo. Sempre nel 1965, a seguito di una promozione di lavoro, si trasferisce a Cleveland, continuando a pubblicare opere di fantascienza[1] e ottenendo per una di esse, Le porte del suo viso, i fuochi della sua bocca (The Doors of His Face, the Lamps of His Mouth), una seconda candidatura al Premio Hugo per il miglior racconto breve e vincendo inoltre il premio Hugo per il miglior romanzo con l'opera Io, l'immortale (…And Call Me Conrad), premio questo diviso ex aequo con il romanzo Dune di Frank Herbert.[4] Ancora nello stesso anno vince il premio Nebula con il racconto He Who Shapes, ex aequo con L'albero della vita (The Saliva Tree) di Brian W. Aldiss, e con il racconto breve Le porte del suo viso, i fuochi della sua bocca. Nel giugno del 1966 divorzia da Sharon Steberl, sposando nell'agosto dello stesso anno Judith Alene Callahan. Nel 1967 pubblica il romanzo Signore della luce (Lord of Light), cui sarà assegnato nell'anno successivo il premio Hugo, e il romanzo breve La pista dell'orrore (Damnation Alley), candidato allo stesso premio.[6] Nel 1969 lascia il suo lavoro alla Social Security Administration per dedicarsi completamente alla scrittura. Nel 1971 nasce suo figlio Devin.[1] Nel 1972 in Francia il suo romanzo Metamorfosi cosmica (Isle of the Dead) ottiene il premio Apollo. Nel 1975 si trasferisce a Santa Fe (Nuovo Messico); in questo stesso anno pubblica sulla rivista Analog il racconto Home is the Hangman, vincitore del premio Hugo[7] e del premio Nebula[8] e il romanzo Le rocce dell'impero (Doorways in the Sand) candidato anch'esso al premio Hugo.[7] Nel 1976 nasce il suo secondo figlio Jonathan Trent e viene pubblicato il romanzo Deus Irae scritto con Philip K. Dick. Nel 1977 dal suo romanzo La pista dell'orrore (Damnation Alley, 1969) viene tratto il film L'ultima odissea (Damnation Alley) per la regia di Jack Smight.[1] Nel 1979 nasce sua figlia Shannon. Nell'aprile del 1981 pubblica l'opera La variante dell'unicorno (Unicorn Variation) che vince nell'anno successivo il premio Hugo per il miglior racconto,[10] mentre nel 1986 analogo riconoscimento otterrà 24 vedute del monte Fuji, di Hokusai (24 Views of Mt. Fuji, by Hokusai, 1985), premiato come miglior romanzo breve.[11] Nel 1987 il suo racconto Permafrost, pubblicato sulla rivista Omni di aprile del 1986 ottiene anch'esso il premio Hugo.[12] Roger Zelazny muore il 14 giugno 1995 in un ospedale di Santa Fe, a causa di un tumore.
MILANO - Otto anni fa, quando lo Spirit atterrò su Marte e cominciò a inviare immagini del pianeta rosso, la Nasa invitò a un evento speciale, una «diretta» per pochi, l’uomo che quella storia l’aveva immaginata nel 1950: Ray Bradbury, morto oggi a Los Angeles all’età di 91 anni. L’autore di «Cronache Marziane», «Fahrenheit 451», «L’uomo illustrato» era malato da molti anni, un ictus nel 1999 l’aveva costretto su una sedia a rotelle e la morte della moglie quattro anni dopo l’avevano profondamente segnato. Ma continuava a scrivere, a pubblicare, a polemizzare e a immaginare il futuro. Intervistato dal Corriere nel 2004 dopo aver seguito con «i ragazzi della Nasa» le immagini di Marte spiegava che era stata una «emozione straordinaria. E spero che tante persone in tutto il mondo condividano il mio entusiasmo. Perché adesso basta con le sonde esplorative: su Marte bisogna mandare gli astronauti». Perché secondo Bradbury sarebbero stati «i cinesi a volerci arrivare per primi, su Marte, e noi li rincorreremo così come sfidammo i russi per arrivare sulla Luna. A quel punto sarà un'idea saggia allearci con Pechino, e con la comunità internazionale: e andremo insieme su Marte. Marte è il futuro. È un antidoto alla guerra». Bradbury rifiutava l’etichetta di autore di fantascienza – preferiva quella di scrittore di genere «fantasy, perché la fantascienza racconta quel che potrebbe accadere ma a parte “Fahrenheit 451” i miei libri parlano di cose che non possono accadere» – ma pochi come lui nel Novecento hanno raccontato il nostro presente e hanno riflettuto sul nostro futuro: ha immaginato con decenni di anticipo la tv a schermo, il walkman, l'auricolare Bluetooth. In «Fahrenheit 451» ecco un futuro dove si bruciano i libri; ne «L'uomo illustrato» ecco i tatuaggi che prendono vita, raccontando ciascuno una storia diversa: la nostra vita incisa sulla nostra pelle. Eppure non prese mai la patente perché giudicava le automobili come una pestilenza che aveva mietuto più vittime di una guerra mondiale. E in un mondo invaso dai gadget, dalle vette del suo prestigio li frustava: «Abbiamo troppi telefonini. Troppo Internet. Dobbiamo liberarci di quelle macchine. Abbiamo troppe macchine, ormai». Impedì di commercializzare le versioni per e-reader dei suoi libri. Immaginava un futuro di pace grazie all’esplorazione di altri pianeti, il genere umano alleato per quelle missioni spaziali. Lavorò fino all’ultimo, scrivendo, immaginando, ormai duro d’orecchi e con un braccio fuori uso: non potendo più usare la vecchia macchina per scrivere dettava, via telefono, alla adorata figlia Alexandra (che poco fa ha confermato la sua morte). Lavorava ancora tre ore ogni mattina, da lunedì a venerdì, rispondendo alle lettere dei fan come aveva sempre fatto. E dalla casa di Los Angeles dava prova di essere ancora il più giovane di tutti, perorando la causa dell’esplorazione spaziale con queste parole: «A volte bisogna buttarsi, e costruire le proprie ali mentre si cade: altrimenti nessuno, razionalmente, si innamorerebbe mai»
Poul William Anderson (Bristol, 25 novembre 1926 – Orinda, 31 luglio 2001) è stato uno scrittore statunitense, autore di romanzi di fantascienza. Ha pubblicato alcuni dei suoi primi racconti con gli pseudonimi di A. A. Craig, Michael Karageorge e Winston P. Sanders. Anderson è stato inoltre autore di libri fantasy, come ad esempio la serie King of Ys.
La sua prima pubblicazione di fantascienza è del 1947, sulla rivista Astounding. Pubblicò il suo primo romanzo nel 1952: in seguito pubblicò soprattutto opere fantasy. Anderson privilegiò sempre l'avventura, con tratti anche ironici, creando opere molto interessanti e suggestive, pure con una spiccata inclinazione poetica.Di origini scandinave, nacque in Pennsylvania nel 1926. Conseguì una laurea in fisica all'università del Minnesota nel 1948. Sposò Karen Kruse nel 1953. Assieme a lei, oltre che da solo, compose versi. È stato il sesto presidente dell'associazione degli scrittori statunitensi di fantasy e fantascienza a partire dal 1972.
In collaborazione con Karen Anderson
Scritti in collaborazione con Gordon R. Dickson
(Secondo la cronologia interna):
Robert Sheckley (New York, 16 luglio 1928 – Poughkeepsie, 9 dicembre 2005) è stato uno scrittore statunitense, autore di romanzi di fantascienza e particolarmente noto per i toni satirici e paradossali delle sue opere. Sheckley è stato insignito del titolo di Author Emeritus dalla Science Fiction and Fantasy Writers of America nel 2001.
Robert Sheckley nacque in una famiglia ebraica di Brooklyn, New York: il padre è polacco (Sheckley è l'americanizzazione di Shekowsky) e la madre lituana. Nel 1931 la famiglia si trasferisce a Maplewood, nel New Jersey. Sheckley frequentò la Columbia High School, dove scoprì la fantascienza. Si diplomò nel 1946 e se ne andò in California con l'autostop lo stesso anno, dove intraprese diversi mestieri: giardiniere, venditore ambulante di pretzel, barman, lattaio, magazziniere e operaio in un laboratorio di cravatte dipinte a mano. Nel 1946 si arruolò nell'Esercito degli Stati Uniti e venne inviato in Corea.[2]. Durante il servizio militare fu redattore di un giornale dell'esercito, furiere e chitarrista. Si congedò nel 1948. Sheckley quindi frequentò la New York University, dove conseguì la laurea breve nel 1951. Lo stesso anno si sposò per la prima volta con Barbara Scadron. La coppia ebbe un figlio, Jason. Lavorò in una fabbrica aeronautica come assistente metallurgico per un breve periodo, ma il suo esordio come scrittore giunse presto: alla fine del 1951 vendette il suo primo racconto, Final Examination, alla rivista Imagination. La sua reputazione si consolidò rapidamente, con la pubblicazione di racconti su Imagination, Galaxy Science Fiction, e altre riviste di fantascienza. Negli anni cinquanta vennero pubblicati i primi quattro libri dello scrittore: le raccolte di racconti Untouched by Human Hands (Ballantine, 1954), Citizen in Space (1955), e Pilgrimage to Earth (Bantam, 1957), più un romanzo, Anonima Aldilà (inizialmente pubblicato a puntate su Galaxy nel 1958). Sheckley e Scadron divorziarono nel 1956. Lo scrittore sposò allora la giornalista Ziva Kwitney nel 1957. La coppia di sposi novelli visse nel Greenwich Village. Loro figlia, Alisa Kwitney, nata nel 1964, sarebbe successivamente diventata una scrittrice di successo. Elogiato dal critico Kingsley Amis, Sheckley vendeva molti dei suoi agili racconti satirici anche a riviste non di genere, come Playboy. In aggiunta ai suoi racconti di fantascienza, negli anni sessanta Sheckley iniziò a scrivere narrativa gialla. Altre raccolte di racconti e romanzi apparvero negli anni sessanta, e nel 1965 uscì nelle sale il film La decima vittima, diretto da Elio Petri e interpretato da Marcello Mastroianni e Ursula Andress, adattamento cinematografico di uno dei primi racconti dell'autore, La settima vittima. Sheckley trascorse la maggior parte degli anni settanta a Ibiza. Divorziò dalla Kwitney nel 1972 e nello stesso anno sposò Abby Schulman, che aveva conosciuto nell'isola spagnola. La coppia ebbe due figli, Anya e Jed. Nel 1980 lo scrittore tornò negli Stati Uniti per assumere il ruolo di responsabile della narrativa di una neonata rivista, Omni. Sheckley lasciò OMNI nel 1981 con la sua quarta moglie, Jay Rothbell, e successivamente viaggiò con lei in Europa, stabilendosi infine a Portland, nell'Oregon, dove si separarono. Sposò allora Gail Dana di Portland nel 1990, ma al momento della sua morte i due non vivevano insieme. Sheckley continuò a pubblicare altre opere di fantascienza, e gialli, e collaborò con gli scrittori Roger Zelazny e Harry Harrison. Durante una visita in Ucraina nel 2005 per la Settimana del computer e della fantascienza ucraina, un evento internazionale per scrittori di fantascienza, Sheckley si ammalò e dovette essere ricoverato in un ospedale di Kiev, il 27 aprile. Le sue condizioni di salute sembrarono assai gravi per una settimana, ma parvero migliorare. Il sito web ufficiale di Sheckley lanciò una sottoscrizione per aiutare lo scrittore a pagare le spese mediche e tornare in patria. Sheckley si stabilì nel nord della Dutchess County, nello Stato di New York, per essere vicino alle figlie Anya e Alisa. Il 20 novembre fu operato per un aneurisma cerebrale. Sheckley morì in un ospedale di Poughkeepsie, nello Stato di New York, il 9 dicembre 2005.
Illustrazione di Scattergood per il racconto Warrior Race di Sheckley, Galaxy Science Fiction novembre 1952. il romanzo di Sheckley Anonima aldilà fu pubblicato a puntate su Galaxy Science Fiction nel 1958 col titolo Time Killer Anonima aldilà (Immortality Delivered, poi Immortality Inc., 1958)
Edgar Rice Burroughs (Chicago, 1º settembre 1875 – Encino, 19 marzo 1950) è stato uno scrittore statunitense, autore, fra l'altro, del ciclo di romanzi incentrati sulla figura di Tarzan, il personaggio della giungla allevato dalle scimmie che ha alimentato la fantasia dei lettori e degli appassionati di cinema di più di una generazione.
Biografia
Privo di un'istruzione regolare al di là delle scuole dell'obbligo, Burroughs - dopo avere rinunciato alla carriera militare nel 7º Cavalleggeri - comincia a lavorare nella fabbrica del padre.
Successivamente tenta la fortuna in numerosi mestieri: poliziotto ferroviario, minatore, cercatore d'oro, negoziante in un drug-store, venditore di temperini, venditore ambulante di dolciumi, cow-boy e anche contabile, a dimostrazione di una perenne insoddisfazione che era, specie in quegli anni, una sua caratteristica.
Sotto le lune di Marte Illustrazione di copertina per il romanzo A Princess of Mars (Sotto le lune di Marte) di Edgar Rice Burroughs, McClurg, 1917. Nel 1912, amareggiato e sull'orlo del suicidio a causa dei numerosi insuccessi professionali, realizza un romanzo d'avventura di genere fantascientifico: Sotto le lune di Marte (Under the Moons of Mars, pubblicato anche come A Princess of Mars). Neanche stavolta però l'autore è sicuro di sé, tanto che non firma il manoscritto con il proprio nome, ma sceglie lo pseudonimo di Normal Bean (“Tipo Qualsiasi”). Il romanzo, che costituisce il primo libro di una fortunata serie di undici volumi (fino al 1943), narra le avventure vissute sul pianeta Marte dal capitano John Carter; serializzato in sei puntate sulla rivista The All-Story, ottiene un successo immediato e, appunto, imprevisto da parte dell'autore.
Il vero successo, però, Burroughs lo otterrà allorquando proporrà un nuovo e incredibile personaggio. Non è passato ancora molto tempo dalla pubblicazione di Sotto le lune di Marte, quando fa la comparsa, sempre su The All-Story, il suo Tarzan delle Scimmie (Tarzan of the Apes), che, pubblicato per la prima volta nel 1914, diviene in breve un clamoroso best seller in tutto il mondo conquistando la fantasia e il favore di un pubblico eterogeneo e di tutte le età. È l'erede di Mowgli, il “figlio dei lupi” ideato da Rudyard Kipling nei suoi due Libri della giungla, sarebbe presto divenuto uno degli eroi più famosi di tutti i tempi, tanto che Burroughs gli dedicherà un ciclo narrativo che conta ventotto libri, tradotti in più di 50 lingue, almeno trenta film e una lunga serie di fumetti, telefilm e cartoni animati. Stimolato dall'inaspettato successo riscosso dalle sue prime opere, Burroughs continua a scrivere, e nei successivi anni venti e trenta emerge come uno dei più amati e imitati scrittori d'avventura e fantascienza.
Scrittore quanto mai prolifico (anche se molte volte la critica non è stata molto benevola con lui), Burroughs scrive fino agli ultimi anni di vita, collezionando sempre maggiori successi e pubblicando circa settanta libri che venderanno non meno di duecento milioni di copie in tutto il mondo; la sua fortuna economica crescerà tanto da permettergli di fondare una propria casa editrice, la Edgar Rice Burroughs, Inc., per la pubblicazione dei suoi scritti. L'incredibile (e apparentemente inesauribile) vena letterario-visionaria di Burroughs ha portato l'autore di Tarzan a una continua ricerca di nuovi territori della fantasia, con la creazione di almeno altri tre importanti filoni: quello del ciclo di Pellucidar (1922-1963) ambientato al centro della Terra e popolato da uomini ancora allo stadio dell'età della pietra; quello della Terra dimenticata dal tempo (del 1918) ambientato su un'isola sperduta dell'oceano Pacifico; e infine quello del cosiddetto Ciclo venusiano, ultimo in ordine di tempo, iniziato nel 1934 con I pirati di Venere (Pirates On Venus). Burroughs morì nel 1950 a Encino, in California, lasciando ai figli un'eredità di oltre dieci milioni di dollari. Un quartiere di Los Angeles in California e un'area non incorporata in Texas, verranno battezzati rispettivamente Tarzana e Tarzan in onore del suo personaggio più famoso. Il suo corpo venne cremato e, secondo le sue ultime volontà, le ceneri vennero sparse davanti a un albero lungo il Ventura Boulevard di Tarzana.
Jack Vance, pseudonimo di John Holbrook Vance (San Francisco, 28 agosto 1916 – Oakland, 26 maggio 2013), è stato uno scrittore statunitense, autore di romanzi fantasy e di fantascienza, benché Vance stesso abbia obiettato a questa definizione.
Ha firmato gran parte delle sue opere con il suo nome informale Jack Vance, ma ha anche usato il suo nome completo, così come gli pseudonimi Ellery Queen (dal famoso scrittore di gialli), Alan Wade, Peter Held e John van See. Gode di una buona considerazione da parte di critici e colleghi, alcuni dei quali hanno suggerito che la sua opera trascende i limiti del genere e che dovrebbe essere considerato un importante scrittore secondo gli standard della letteratura mainstream. Ad esempio Poul Anderson l'ha definito in un'occasione il più grande scrittore statunitense “in” fantascienza, invece che “di” fantascienza.
Biografia Nasce il 28 agosto 1916 in California. Dopo la separazione dei genitori si trasferisce con la madre e diversi fratelli nel ranch dei nonni materni, dove trascorre un'infanzia felice. Fin da giovane legge e scrive poesia. Inoltre si appassiona alle riviste pulp, come Weird Tales e Amazing Stories, e ad autori come Edgar Rice Burroughs, Jules Verne, Lord Dunsany e P.G. Wodehouse. Terminati gli studi superiori e non potendo permettersi di frequentare l'università, gira per il paese svolgendo i lavori più disparati (raccolta della frutta, operaio in una fabbrica di attrezzi minerari, minatore e addetto ai pozzi petroliferi), trasformandosi da piccolo intellettuale poco pratico in un giovane uomo piuttosto impetuoso. Si iscrive all'Università della California a Berkeley, frequentando prima fisica e poi giornalismo, ma non termina gli studi. Lavora per un certo periodo al porto di Honolulu, ritornando in America in tempo per l'inizio della seconda guerra mondiale. Studia il giapponese per poter partecipare a un programma di addestramento dei servizi segreti, ma senza successo, quindi si arruola nella Marina mercantile e si imbarca. In questo periodo inizia a scrivere narrativa, in particolare i primi racconti del Ciclo della Terra morente. La sua prima opera pubblicata è Il pensatore di mondi nel 1945 sulla rivista Thrilling Wonder Stories. Nel periodo tra gli anni cinquanta e i settanta lavora per un breve periodo come sceneggiatore per la 20th Century Fox. Viaggia quindi a lungo, prima in Europa e poi per il resto del mondo, fermandosi per pochi mesi in luoghi esotici, dove scrive nuovi racconti e romanzi, partendo quindi per un'altra destinazione. Alla fine degli anni cinquanta, durante un periodo in cui si trova a New York, scrive sceneggiature per la serie TV di fantascienza Captain Video. In questo periodo scrive i romanzi L'odissea di Glystra, Il linguaggio di Pao e Uomini e draghi, con cui vince un Premio Hugo, inizia la Trilogia di Durdane e il Ciclo dei Principi demoni. Inoltre ritorna ai racconti del ciclo della Terra morente e scrive la serie di racconti con protagonista Cugel l'astuto (Le avventure di Cugel l'astuto). Fino alla morte risiede con la moglie e un figlio a Oakland, in California. È scomparso il 26 maggio 2013 nella sua casa di Oakland.
Carriera letteraria Copertina del numero di dicembre 1957 della rivista Satellite Science Fiction dove The languages of Pao fu pubblicato per la prima volta. Ha scritto oltre sessanta libri, la maggior parte dei quali inseriti in un ciclo: forse i più notevoli sono i quattro libri del Ciclo della Terra morente, oggetto di molte imitazioni; i cinque romanzi del Ciclo dei Principi Demoni; i quattro romanzi del Ciclo di Tschai; la trilogia di Durdane; quella del Ammasso di Alastor; i due libri del Ciclo del Grande Pianeta e la trilogia di Lyonesse. Molti dei cicli di fantascienza di Vance appartengono ad una visione del futuro chiamata Distesa Gaeana, situata nella storia futura, tuttavia le connessioni non sono necessarie per la comprensione di ogni serie individuale sebbene permettano a Vance di utilizzare in una serie dei riferimenti a protagonisti di altre serie, come Navarth, il poeta pazzo, o di citare in altri romanzi libri immaginari, come l'enciclopedia in più volumi “Vita” del Baron Bodissey. Lo stile di prosa di Vance raggiunge probabilmente la sua forma migliore nei romanzi singoli come L'ultimo castello e Maske: Thaery. I romanzi di fantascienza e fantasy di Vance sono tipicamente diretti, satire lineari, che possono facilmente sedurre un lettore nel considerarli solo space opera. I racconti di Vance contengono tipicamente un forte protagonista, alle volte forte di natura e alle volte forzato dalle circostanze, inquieta e intensa opposizione a una società febbricitante che alla fine redime, spesso senza ricevere plausi o anche senza che qualcuno se ne accorga. Altri, una minoranza importante nel corpus delle sue opere, hanno come protagonista un antieroe come Cugel, ironicamente soprannominato 'Cugel l'astuto' nei suoi romanzi della Terra morente, che subisce i tiri e le beffe di quella che lui, ma non noi, considera una sfortuna oltraggiosa. Il lavoro di Vance nasconde in gran parte una commedia di moralità, comunque sottile. Anche un tagliagole, ladro ed occasionale stupratore come Cugel, una volta adeguatamente castigato dalle sue vicissitudini, può alla fine trionfare come avviene nel seguito a Le avventure di Cugel l'astuto. Ma l'attrattiva principale dei romanzi di Vance non sono le trame lineari ed il linguaggio squisito e ironicamente secco, quanto le sue capacità di evocare, spesso con sole poche parole, società aliene, complesse e assurde, purtuttavia completamente umane. Vance spesso crea, in un semplice paragrafo, un mondo più completamente realizzato di quello che molti scrittori riescono ad inserire in massicci volumi. Un altro talento speciale di Vance è il racconto di storie-nelle-storie mediante l'uso di citazioni in apertura di paragrafo, per esempio le avventure di Marmaduke nel Libro dei Sogni il quinto libro del ciclo dei Principi Demoni, e l'uso delle note a piè di pagina. La capacità di un narratore di usare efficacemente le note a piè di pagina è rara, quasi unica; un altro esempio può essere Terry Pratchett. Spesso Vance espone la natura piuttosto arbitraria delle società descritte, per mezzo di note linguistiche di termini intraducibili. Questi termini delineano concetti centrali per la società descritta, ma sono completamente alieni al lettore. In effetti la capacità di Vance di “spiegare” senza diminuire l'attenzione del lettore è parte del fascino del suo lavoro, ricco nella “Capacità Negativa” lodata da Keats ed essenziale per la fantasy e la fantascienza. Il fatto di non poter immaginare l'aspetto di un “deodand” o di non aver mai sentito parlare della “Cappa di Carne di Miscus” non intralcia in alcuna maniera la capacità di seguire la storia. Un luogo comune nei lavori di Vance è il villaggio o il pianeta i cui gli abitanti praticano con la massima sincerità un sistema di credenze assurdo, ripugnante o entrambi. A parte il loro potenziale picaresco, Vance usa questi episodi per ironizzare sul dogmatismo in generale e su quello religioso in particolare. In effetti c'è molto del filosofo del XVIII secolo in Vance, che in particolare nella trilogia di Lyonesse si diverte a tirare frecciate al Cristianesimo. Quando, nel corso dei secoli, così tante persone hanno dato credito a così tante credenze, pare implicare Vance, chi ha il diritto di imporre il suo dogma agli altri?
Questo scetticismo è legato all'individualismo di Vance che un imperativo, sia etico sia estetico per lui e per i suoi personaggi, sembra applicare in pratica il desiderio di Thoreau che ci siano persone di tipi tanto differenti quanto possibile. I suoi valori illuminati appaiono ancora nella sua convinzione che ognuno dovrebbe essere libero di realizzare se stesso nella sua propria maniera, purché questa autorealizzazione non sia a detrimento di altri. Spesso i cattivi di Vance sono artisti che violano questo principio e distruggono le vite o le proprietà di altri per perseguire la propria visione. Di conseguenza Vance favorisce personaggi aristocratici per la varietà che lo stato sociale e il denaro possono innegabilmente fornire, si diverte a creare società individualistiche e aristocratiche terrificanti come in Marune: Alastor 933' o come gli Ska in Lyonesse. Un suo tema favorito, esemplificato in L'ultimo castello, è la società decadente aristocratica il cui perseguimento dell'individualismo estetico l'ha resa incapace di affrontare le sfide della realtà che richiedono cooperazione e sacrificio. Una tensione ricorrente in Vance, sebbene di solito il suoi protagonisti riescono ad essere sia esteti che eroi. Vance non assume mai che l'aristocrazia conferisca automaticamente meriti, è spietato nella sua satira di notabili pomposi che pensano che una nascita nobile li dispensi dall'obbligo di essere gentili o interessanti. Essere pretenziosi è sempre un vizio per Vance, ma distingue sempre tra pretenziosità ed elevazione reale. Uno dei molti fascini delle sue opere è la maniera scespiriana con cui sia furfanti che principi trattano e si canzonano in un linguaggio forbito. La sua enfasi sull'individualismo impedisce a Vance di diventare un relativista. In effetti i suoi valori a volte hanno la forza di pregiudizi, così come la sua disapprovazione per l'omosessualità: solo i cattivi sono omosessuali nei lavori di Vance. Questo conservatorismo sessuale si manifesta anche nelle relazioni uomo-donna. Vance può creare personaggi femminili vividi ed eroici, come Glyneth nel ciclo di Lyonesse, eppure una volta sposata esce di scena per l'ultimo libro della trilogia. In La Murthe una storia del ciclo della Terra morente, è specialmente esplicito nell'insistere sulle nature differenti degli uomini e delle donne e che ogni deviazione dal proprio genere deve essere evitata. Che questo geniale e innegabile sessismo non sia niente più che un artefatto dei pregiudizi generazionali di Vance è una questione aperta, ma non diminuisce il godimento del suo vivido stile ed immaginazione.
Vance ha parlato del suo piacere per gli scritti di P.G. Wodehouse e una certa influenza di quest'ultimo può essere ritrovata in alcuni degli scritti di Vance, specialmente nelle sue descrizioni di zie prepotenti e dei loro nipoti facilmente intimoriti. L'influenza di Wodehouse comunque può non essere pronunciata quanto quella di L. Frank Baum, ne è un esempio l'uso di Baum simile a quello di Vance del dialogo ampolloso in The Tin Woodman of Oz. Qualunque sia il peso relativo di questi e altri modelli, Vance ha provato di essere un maestro della farsa episodica in lavori come Il mondo degli Showboat e nella storia breve Il gioco della guerra.
I racconti gialli di Vance oggi mantengono essenzialmente un valore per quello che rivelano della sua evoluzione come scrittore di fantascienza, fantasy e umorismo. Smise di lavorare nel genere del mistero all'inizio degli anni settanta se si eccettuano storie del mistero di fantascienza, vedi. Bad Ronald è degno di nota per come ritrae una versione di prova di quello che è forse il più grande personaggio di Vance: Howard Alan Treesong di Il libro dei sogni, il quinto libro del ciclo dei Principi Demoni. Il modo in cui descrive la Tahiti degli anni sessanta, in The Deadly Isles rivela alcuni degli ingredienti segreti che Vance miscela da gran maestro per presentare mondi alieni senza praticamente alcuno sforzo. In aggiunta le due storie dello sceriffo Joe Bains, specialmente The Fox Valley Murders, possono ancora essere lette con piacere, sebbene più per alcuni dei deliziosi personaggi californiani come la ragazza New Age di Bains, piuttosto che per la reale procedura di investigazione del crimine. Vance ha ambientato con successo molti gialli nei suoi universi fantascientifici. I più notevoli di questo sforzo di miscelare generi sono le storie del ciclo del “Galactic Effectuator” che presentano un protagonista simile a Sam Spade, delle storie brevi risalenti ai primi anni cinquanta con protagonista Magnus Ridolph, un avventuriero interstellare e detective amatoriale, basato parzialmente sul Simon Templar di Leslie Charteris, che incontra sfide non dissimili da quelle dei racconti dei viaggi nel sud di Jack London e La fiamma della notte che prende abilmente in prestito elementi da Un lavoro inadatto a una donna di P.D. James. Ha vissuto per la maggior parte della sua vita adulta nelle colline sopra Oakland. Iniziò la carriera di scrittore a tempo pieno alla fine degli anni quaranta, il periodo in cui il San Francisco Renaissance, un movimento di sperimentazione nella letteratura e nelle arti, dalla poesia fino all'architettura, era agli inizi. I riferimenti alla vita bohèmienne della Bay Area, direttamente nei suoi primi gialli e in forma travestita nei suoi racconti di fantascienza, suggeriscono affinità con questo movimento. Certamente la “Sailmaker Beach,” il quartiere bohèmienne di Avente sul pianeta Alphanor è una versione della North Beach di San Francisco, mentre si dice che il personaggio del folle poeta Navarth sia stato basato su Kenneth Rexroth.
Riconoscimenti 1961 Edgar Allan Poe Awards per il racconto giallo The Man In The Cage 1963 Premio Hugo per Uomini e draghi 1966 Premio Nebula per L'ultimo castello 1967 Premio Hugo, categoria racconti brevi per L'ultimo castello 1975 Premio Jupiter per Assalto a una città 1984 World Fantasy Award per Lyonesse 1990 World Fantasy Award per Madouc 1997 Premio Grand Master
Future Tense, 1964 (ried. come Dust of Far Suns, 1981). Contiene tra gli altri: Il paradiso di Ullward (Ullward's Retreat, 1958) La vela dello spazio (Gateway to Strangeness, 1962) Le avventure di Magnus Ridolph (The Many Worlds of Magnus Ridolph, 1966) Il meglio di Jack Vance (The Best of Jack Vance, 1976).
Stanisław Herman Lem (IPA: [staˈɲiswaf ˈlɛm]) (Leopoli, 12 settembre 1921 – Cracovia, 27 marzo 2006) è stato uno scrittore polacco, autore prolifico e brillante che coniugò il genere della fantascienza con il romanzo filosofico.
Uno dei suoi romanzi più celebri è Solaris. Nel 1972 il regista sovietico Andrej Tarkovskij ne ha tratto l'omonimo film, il cui grande successo lo ha reso popolare al di fuori della sua patria.
I suoi libri, alla sua scomparsa nel 2006, erano stati tradotti in almeno 41 lingue e avevano venduto oltre 27 milioni di copie, facendone uno degli scrittori europei di fantascienza più letti al mondo.
Nato in Polonia a Leopoli (città facente oggi parte del territorio dell'Ucraina) il 12 settembre 1921 in una famiglia ebraica, inizialmente si dedicò agli studi di filosofia, ma successivamente intraprese medicina all'università di Leopoli, seguendo le orme del padre; costretto ad interrompere gli studi a causa dell'occupazione nazista, durante la seconda guerra mondiale lavorò come meccanico. Al termine della guerra si trasferì a Cracovia dove riprese gli studi medici e si laureò nel 1946 all'Università Jagellonica. Nel 1950 abbandonò la medicina e si dedicò alle scienze biologiche e cibernetiche, attività che l'avrebbe portato ad essere uno dei fondatori dell'Accademia di cibernetica ed astronautica. Nel 1951 pubblicò Il pianeta morto (Astronauci), il suo primo romanzo di fantascienza, ma presto si scontrò con l'ordinamento politico sovietico, anche in seguito a numerosi saggi ed articoli scientifici; smise di scrivere e per vivere lavorò come assistente di laboratorio.
Nel 1953, dopo la caduta di Trofim D. Lysenko (1898-1976), presidente dell'Accademia delle Scienze Agrarie in Unione Sovietica, ricominciò a pubblicare romanzi di fantascienza e scrivere saggi ed articoli scientifici. Nel 1955 scrisse La nube di Magellano (Obłok Magellana), dove parla della vita di astronauti a bordo di una gigantesca astronave. Seguirono Pianeta Eden (1959), che introduce il tema dell'incomunicabilità tra intelligenze aliene, e Ritorno dall'Universo (Powrót z gwiazd, 1961), e il suo romanzo più celebre Solaris (1961), il culmine dell'originalità letteraria di Lem. Nel 1963 l'adattamento cinematografico de La nube di Magellano, realizzato in Cecoslovacchia con il titolo Ikarie XB 1 (titolo internazionale Icarus XB1) ottiene un successo internazionale e fa conoscere lo scrittore anche Europa e America. Nel 1972 il regista russo Andrej Tarkovskij porta sullo schermo Solaris con il film omonimo, premiato a Cannes, che suggellò la popolarità di Stanislaw Lem in Europa e in tutto l'occidente. Nel 1973 ricevette in Polonia il prestigioso Premio di Stato, mentre nel 1976 ricevette il Grand Prix al terzo Congresso Europeo di Fantascienza tenutosi a Poznań. Lem era talmente stimato e amato in patria che nel 1977 fu candidato dalla Polonia al premio Nobel per la letteratura e riconosciuto cittadino onorario dalla città di Cracovia. Nel 1987 smise di scrivere. Morì a Cracovia nel 2006.
Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. La sua preparazione e la capacità di grande speculazione filosofica hanno permesso a Stanisław Lem di scrivere romanzi di grande spessore ed originalità, che, nella loro complessità e rigorosità scientifica, immergono il lettore in contesti decisamente plausibili ma appartenenti alla più tipica tradizione fantascientifica. L'intento è quello di mantenere una costante sensazione di accuratezza scientifica e non lasciare mai troppo spazio all'aspetto puramente fiabesco della fantascienza, considerato quest'ultimo un aspetto più commerciale che creativo; proprio in questo senso Lem lancia forti critiche a gran parte degli autori occidentali, in particolare americani, e a buona parte della fantascienza, che considera mal concepita e scritta, interessata più all'avventura che alle idee o nuove forme di letteratura, tanto che nel 1976 viene rimosso da membro onorario dalla Science Fiction and Fantasy Writers of America (SFWA) dopo che aveva ottenuto questo riconoscimento nel 1973. Lem costringe i suoi personaggi ad affrontare delle profonde riflessioni introspettive, unitamente ad una critica etica e morale della società, nel momento in cui si vengono a trovare in situazioni che sono del tutto estranee alla normalità e lontane da tutto ciò che, per l'uomo, è consueto e conoscibile. Nei suoi romanzi trovano spazio riflessioni sia filosofiche che religiose fino a considerazioni di carattere puramente politico, a volte velate, a volte decisamente esplicite. Ne è un esempio una forte critica al sistema sociale capitalista nel suo primo romanzo di fantascienza, Il pianeta morto (Astronauci, 1951), dove pone l'accento sul carattere autodistruttivo di un'ipotetica società basata sull'egoismo e sul desiderio di predominio, che prima di riuscire a procedere con i propri intenti di conquista, implode in se stessa. Tuttavia non risparmia critiche al socialismo sovietico quando in Eden (1959), dove alcuni uomini, a seguito di un naufragio in un pianeta sconosciuto, sperimentano, a causa dell'incolmabile distanza culturale, l'incomunicabilità e l'incomprensione con la forma di vita (vagamente umanoide) predominante, esprime tutto il suo dissenso verso qualsiasi tentativo di controllo dell'informazione. Non a caso questo spirito critico, che determina una sottile ambiguità politica, ha procurato a Lem pesanti ripercussioni e accuse di vario genere, sia in patria che in occidente. Tuttavia la caratteristica più importante di Stanislaw Lem è la profonda riflessione esistenziale che è centrale in quasi tutte le sue opere, dove l'uomo è costretto a confrontarsi con se stesso, sia nella sua individualità che nella sua appartenenza ad una società, una cultura od un contesto, alternando realtà oggettive a realtà soggettive. L'uomo di Lem affronta l'incomprensibile attraverso un viaggio interiore che lo porta a delle scelte rassegnate, dove prevalgono emozioni e valori soggettivi, quando, ad esempio, in Solaris (1961), un Dio bambino (così definito perché sembra non aver ancora preso coscienza di essere tale), gioca con degli esseri umani trasformando i loro ricordi in persone reali. Le opere di Lem stimolano molteplici riflessioni, e per questo i suoi romanzi sono continuamente riscoperti e valorizzati, ma non è secondario che la rigorosa accuratezza scientifica renda la sua produzione (anche quella realizzata tra gli anni cinquanta e settanta) fortemente realistica ed attuale.
John Wyndham, pseudonimo di John Wyndham Parkes Lucas Beynon Harris (Knowle, 10 luglio 1903 – Londra, 11 marzo 1969), è stato uno scrittore inglese di romanzi di fantascienza. Usò il suo chilometrico nome per trarne anche altri pseudonimi letterari, quali John Beynon e J. B. Harris. Il suo racconto più celebre è Il giorno dei trifidi, del 1951, da cui nel 1963 è stato tratto il film L’invasione dei mostri verdi. John Wyndham Parkes Lucas Beynon Harris nacque nel villaggio di Knowle, non lontano da Birmingham. Mancato avvocato, dopo avere tentato diverse strade con scarso successo iniziò la carriera di scrittore nel 1931, pubblicando su una rivista statunitense il primo racconto, Worlds to Barter.
In questi primi racconti non mancarono le incursioni nel campo del poliziesco, ma fu la fantascienza il genere nel quale Wyndham pian piano si specializzò. Nel 1935 pubblicò il primo romanzo in Gran Bretagna, Le onde del Sahara o Il popolo segreto (The Secret People), di stampo avventuroso e fantastico. Sullo stesso genere il dittico narrativo costituito da Avventura su Marte (Planet Plane, 1936) e I sopravvissuti di Marte (The Sleepers of Mars, 1938). Wyndham non scrisse nulla durante la seconda guerra mondiale, nella quale fu caporale dei Royal Signal Corps. Tornato alla vita civile e spronato dall’esempio del fratello, che aveva pubblicato con qualche successo alcuni romanzi, pubblicò tra il 1951 e il 1957 i suoi romanzi più noti: Il giorno dei trifidi (The Day of The Triffids), Il risveglio dell’abisso (The Kraken Wakes), I trasfigurati (Re-Birth), I figli dell’invasione (The Midwich Cuckoos). Alla pubblicazione nel 1959 di Sbarco su Marte (The Outward Urge) seguì, nell’anno successivo, Il lichene cinese (Trouble with Lichen, 1960) e, dopo un intervallo di otto anni, il romanzo breve Chocky (1968). Sposatosi nel 1963 con Grace Wilson (frequentata fin dalla giovinezza), Wyndham passò gli ultimi anni nella quiete della casa di campagna di Petersfield (nello Hampshire), dove morì senza figli l’11 marzo del 1969. Due romanzi sono stati pubblicati postumi, il primo dieci anni dopo, Ragnatela (Web, 1979), che Wyndham era riuscito a concludere (ma non a revisionare), il secondo Plan for Chaos nel 2009, a cui stava lavorano nel periodo in cui scriveva Il giorno dei trifidi. Wyndham raccoglie la tradizione apocalittica britannica e si trastulla con catastrofi suscettibili di distruggere l’umanità, come ne Il giorno dei Trifidi, nel quale una pioggia di meteoriti rende ciechi quasi tutti gli abitanti della Terra mettendoli alla mercé di piante carnivore semoventi (i trifidi), o come ne I figli dell’invasione, nel quale appare un altro sfruttatissimo tema: l’invasione aliena. Gli alieni e i mutanti di Wyndham sono minacciosi, determinati a soggiogare la razza umana. Mentre in altri scrittori ciò genera atmosfere cupe e angosciose, Wyndham sa mitigare la crudezza delle sue catastrofi ricorrendo a uno stile pacato, con una scrittura serena e ironica in contrasto coi temi trattati.
Adattamenti cinematografici e televisivi I romanzi di John Wyndham hanno ispirato diversi registi, che ne hanno tratto film di successo.
Da Il giorno dei trifidi è stato tratto il film L’invasione dei mostri verdi, del 1962, ad opera di Steve Sekely, con Howard Keel nei panni del protagonista. La BBC ne realizzò un serial televisivo in 6 episodi, inedito in italiano, con una sceneggiatura molto più fedele; poi pubblicò una nuova versione, due puntate da 90 minuti, per il canale BBC HD, che uscì nel 2009. Il romanzo I figli dell’invasione ispirò invece due adattamenti cinematografici: il primo, Villaggio dei dannati (Village of the Damned) nel 1960 di Wolf Rilla, e il secondo, dallo stesso titolo, nel 1995 di John Carpenter. Numerosi anche gli adattamenti televisivi: Chocky del 1984 e un paio di episodi delle serie presentata da Alfred Hitchcock: Considers Her Ways (1964) e Maria (1961).
Frank Patrick Herbert (Tacoma, 8 ottobre 1920 – Madison, 11 febbraio 1986) è stato uno scrittore di fantascienza statunitense.
Autore acclamato dalla critica, ha contemporaneamente riportato un successo di pubblico a livello mondiale. Rimane noto soprattutto per il suo romanzo Dune e per i cinque successivi libri della serie: il ciclo di Dune affronta temi complessi cari allo scrittore come la sopravvivenza umana, l'evoluzione, l'ecologia e la commistione di religione, politica e potere.
Dune vinse nel 1965 il Premio Nebula, a cui fece seguito il Premio Hugo nel 1966, cioè entrambi i massimi riconoscimenti nell'ambito fantascientifico. Da molti degli appassionati del genere è considerata l'opera migliore di fantascienza epica mai scritta e rimane certamente una delle più popolari.
Nato l'8 ottobre del 1920, a Tacoma nello Stato di Washington, Herbert fu spinto a lasciare la casa paterna all'età di 18 anni, a causa della grande povertà che affliggeva la sua famiglia. Si trasferì dallo zio a Salem in Oregon, dove finì la scuola e lavorò al giornale Oregon Statesman (oggi Statesman Journal) in diversi ruoli, incluso quello del fotografo (attività che proseguì nel corso della seconda guerra mondiale, come fotografo per la marina militare). Nel 1941, sposò Flora Parkinson a San Pedro, California, da cui ebbe la prima figlia Penny, e dalla quale divorziò quattro anni dopo. Subito dopo la guerra Herbert tornò a Washington per frequentare l'università, dove conobbe la seconda moglie Beverly Ann Stuart, che sposò poco dopo la fine del primo matrimonio. Da questa ebbe i figli Brian Patrick Herbert e Bruce Calvin Herbert. Nel 1952 riuscì a far pubblicare uno dei suoi racconti di fantascienza, Looking for Something, sulla rivista Startling Stories: il suo primo assaggio di notorietà. Herbert tuttavia non riuscì mai a laurearsi e tornato a casa ricominciò a lavorare nel giornalismo, al Seattle Star, all'Oregon Statesman e al San Francisco Examiner. La carriera da romanziere ebbe inizio nel 1955 con la pubblicazione di Smg. Ram 2000 (The Dragon in the Sea, conosciuto anche come Under Pressure), con grande successo di critica ma meno di pubblico. Il lavoro sulla sua opera più importante cominciò poco dopo e in 6 anni di gestazione riuscì a pubblicare Dune World e Prophet of Dune, su Analog, in otto parti, dal 1963 al 1965. Sterling E. Lanier, curatore editoriale della Chilton Book Company, lo convinse a riunire queste otto parti in un unico manoscritto, da cui nacque il romanzo Dune. Con questo vinse il Premio Nebula e il Premio Hugo. Dune è da allora uno dei romanzi di fantascienza più letti e guadagnò a Herbert l'Olimpo degli scrittori fantascientifici. Nel 1972 si ritirò dal giornalismo per darsi anima e corpo alla sua vera vocazione di scrittore; oltre ai successivi romanzi del Ciclo di Dune, scrisse libri su temi ecologici e filosofici.
Nel 1974 la moglie Beverly subì un intervento per cancro, ma la sua salute rimase compromessa e dieci anni dopo si spense. Nel 1984 uscì il film Dune, di David Lynch, dopo una lunga serie di altri tentativi di produrlo tutti falliti (il primo e più eclatante fu quello del regista cileno Alejandro Jodorowsky, raccontato nel documentario Jodorowsky's Dune). Un anno dopo Herbert sposò la terza moglie, Theresa Shackleford, e poco dopo l'uscita de La rifondazione di Dune morì l'11 febbraio 1986, a 65 anni a Madison nel Wisconsin per embolia polmonare mentre era ricoverato per un tumore al pancreas.
Per ogni testo si indica la prima edizione nell'originale inglese e l'eventuale prima traduzione in lingua italiana. Le serie di romanzi interconnessi sono elencate cronologicamente, in base alla data di pubblicazione del primo episodio di ogni ciclo. La novella di Herbert The Priests of Psi, afferente al Ciclo dei Creatori di dei, fu la storia di copertina del numero di febbraio 1960 della rivista Fantastic Science Fiction Stories.
La serie consisteva originariamente di tre racconti e una novella reciprocamente autonomi, ma legati da affinità tematiche
Successivamente Herbert revisionò ed espanse i quattro testi per collegarli in una vicenda coesa e ne ricavò il romanzo Creatori di dei (The Godmakers), G. P. Putnam's Sons, 1972; trad. Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli, Cosmo. Collana di Fantascienza 35, Editrice Nord, 1974.
L'autore aveva concepito questa serie come eptalogia scandita in una prima trilogia, un romanzo di interludio e una seconda trilogia, ma morì prima di poter scrivere il settimo e ultimo episodio.
Herbert ha inoltre composto un racconto autoconclusivo collocato in questo universo: “La strada per Dune” (“The Road to Dune”), nella raccolta La strada per Dune (Eye), Berkley Books, 1985. Trad. Mauro Gaffo, Visual Books 2, Interno Giallo, 1990.
La serie consiste di due racconti e due romanzi.
Eccettuato il primo episodio, tutta la serie è stata composta in collaborazione con Bill Ransom.
Il film tratto dal romanzo Dune diretto da David Lynch nel 1984, quantunque criticato, rimane un classico del genere. Lo stesso romanzo è stato adattato nel 2001 in una miniserie televisiva dal titolo Dune il destino dell'universo (Frank Herbert's Dune); grazie al successo riscosso il serial ha avuto un seguito, I figli di Dune (Frank Herbert's Children of Dune, 2003), anch'esso tratto dalla fortunata saga di Herbert. Il 3 settembre 2021, presentato in anteprima mondiale alla 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, è uscito il remake di Dune diretto da Denis Villeneuve, tratto dalla prima metà del primo romanzo Dune, al quale ha fatto seguito un secondo capitolo, Dune - Parte due, uscito nel 2024.
Oltre ai film sono ispirati al ciclo di Dune una lunga serie di videogiochi. Il compositore tedesco Klaus Schulze gli ha dedicato il lungo brano Frank Herbert dell'album “X” (1978). Il gruppo heavy metal britannico Iron Maiden ha scritto To Tame a Land inserita nell'album Piece of Mind prodotto nel 1983, e ispirata al ciclo “Dune”. Il gruppo power metal Blind Guardian ha scritto Traveler in Time, inserita nell'album Tales from the Twilight World prodotto nel 1990, ispirata al primo volume della serie. I Shai Hulud sono un gruppo musicale hardcore punk statunitense, il cui nome è un riferimento ai vermi giganti delle sabbie presenti nel romanzo Dune. Dopo la sua scomparsa, a partire dal 1999 il figlio Brian Herbert ha pubblicato, con lo scrittore Kevin J. Anderson, un secondo ciclo di romanzi di successo, Il preludio a Dune, prequel del ciclo di Dune. Lo stesso duo di scrittori ha proseguito ad aggiungere altri romanzi al ciclo, prevalentemente organizzati in trilogie, fra i quali vanno segnalati I cacciatori di Dune e I vermi della sabbia di Dune, che sono da intendersi come i due capitoli conclusivi della saga lasciata in sospeso da Frank Herbert.
Clifford Donald Simak (Millville, 3 agosto 1904 – Minneapolis, 25 aprile 1988) è stato uno scrittore, giornalista e autore di fantascienza statunitense. Fu insignito di numerosi e prestigiosi premi della letteratura fantastica e fantascientifica come il premio Hugo, il Nebula e il Grand Master Award alla carriera, ricevuto nel 1977.
Biografia Clifford D. Simak nacque a Millville, nel Wisconsin, figlio di John Lewis Simak, originario boemo, e di Margaret Wiseman. Nella località rurale di Millville egli visse anche la sua giovinezza, e ciò già spiega la primazia degli scenari agresti, tipici d’altronde di tutto il Midwest americano, che delineano il corpus delle sue opere letterarie. Simak studiò giornalismo all’Università del Wisconsin e, a partire dagli anni trenta, collaborò a diverse testate di Michigan, Iowa, Carolina del Nord e Missouri. Ad ogni modo, Simak legò la sua professione di giornalista principalmente al Minneapolis Star and Tribune (Minneapolis (Minnesota)), per il quale lavorò a partire dal 1939 e sino al 1976, occupandosi regolarmente di una rubrica settimanale di divulgazione scientifica. Divenne fra l’altro editore del Minneapolis Star nel 1949 e coordinatore del Minneapolis Tribune e del Science Reading Series nel 1961.
Sposatosi il 13 aprile 1929 con Agnes Kuchenberg, ne ebbe due figli, Scott e Shelley. Morì al Riverside Medical Center di Minneapolis nel 1988, all’età di 83 anni.
Esordi letterari La rivista Marvel Tales, marzo-aprile 1935, in cui fu pubblicato il racconto Il creatore (The Creator) Simak iniziò a scrivere fantascienza per le riviste pulp nel 1931, ma uscì dal settore nel 1933. Il suo racconto d’esordio fu Il mondo del sole rosso (World of the Red Sun, 1931), pubblicato su «Wonder Stories». L’unica opera “di genere” scritta fra il 1933 e il 1937 fu Il creatore (The Creator, 1935, sul periodico Marvel Tales), una notevole storia con implicazioni religiose, piuttosto insolita nel panorama della fantascienza dell’epoca: in essa s’immagina che l’idea dell’onnipotenza divina sia falsa, e che anzi il Dio venerato da gran parte dei terrestri non sia altro che l’abitatore di un universo più avanzato, pur sempre raggiungibile per mezzo di una nave interstellare. Quando John W. Campbell iniziò a ridefinire il genere verso il 1937, Simak tornò alla fantascienza come collaboratore regolare della rivista Astounding Stories lungo tutto il periodo 1938-1950. Simak è dunque uno dei protagonisti assoluti della cosiddetta Età d’oro della fantascienza (Golden Age). Le sue prime pubblicazioni, come il romanzo Ingegneri cosmici, 1939]], poi riveduto nel 1950), seguivano la tradizione del sottogenere della superscienza perfezionato da E. E. “Doc” Smith.
Ben presto, tuttavia, egli seppe sviluppare uno stile molto personale, imponendosi proprio per quella sua tendenza – di rado riscontrabile tra gli autori di fantascienza degli anni quaranta e cinquanta – a incentrare le storie su aspetti più umani che tecnologici, cosicché le stesse descrizioni d’ambiente, fra scenari rurali e atmosfere rarefatte, fanno da sfondo a sentimenti, ansie, aspirazioni, mirabilmente accompagnati da una scrittura definita “gentile” e “pastorale”, o anche, secondo le parole di Asimov, «semplice e immediata, assolutamente limpida». Il tipico alieno di Simak è un personaggio tranquillo, riflessivo, antieroico o addirittura filosofo, come il Juwain di Anni senza fine, mai il “cattivo” che vuole invadere il pianeta, secondo l’infantile tradizione degli inizi della fantascienza. Simak rese anzi l’idea della “fratellanza universale” uno dei suoi temi più cari, e non è raro incontrare nei suoi scritti veri e propri tentativi di formulare un’etica “cosmica”.
Anni senza fine e le altre opere mature Il primo dei romanzi di Simak ad ottenere una vasta risonanza fu Oltre l’invisibile (Time and Again, 1951), il cui protagonista è un uomo che viaggia nel tempo: l’opera è un esempio d’equilibrio fra i retaggi della space opera, con le sue suggestioni avventurose e il suo tipico sense of wonder, e le aspirazioni umanistiche e intimistiche, perno dell’originalità dell’autore. Il suo romanzo più noto, da alcuni riconosciuto come “il manifesto della moderna fantascienza”, è però Anni senza fine, 1952, conosciuto anche col titolo originale City), formato da una sequenza di otto racconti, scritti nell’arco di tempo compreso tra il 1944 ed il 1952, più un Epilogo, aggiunto nel 1973 e presente dunque solo nelle edizioni successive del libro. La genesi di quest’ultimo racconto prese il via nel 1971, in seguito alla morte di John W. Campbell, quando in modo del tutto spontaneo alcuni di coloro che ebbero modo di conoscerlo o che furono da lui lanciati come scrittori sulla rivista «Astounding Stories», decisero di onorarne la carriera. Autori come Gordon R. Dickson, Poul Anderson, Alfred Bester, Mack Reynolds, Isaac Asimov, lo stesso Simak e diversi altri diedero così vita ad un libro nel quale ognuno scrisse un racconto o un romanzo breve. Il libro ebbe lo stesso titolo della gloriosa rivista diretta per tanti anni da John W. Campbell, della quale fu considerato l’ultimo numero. Fu così che Simak scrisse Epilogo, venti anni dopo la pubblicazione della prima edizione del suo capolavoro.
Vincitrice dell’International Fantasy Award nel 1953, Anni senza fine è la storia, e l’epopea, della famiglia Webster, a partire dal prossimo futuro fino ad attraversare innumerevoli secoli. Le specie che vivono sulla terra subiscono trasformazioni e mutazioni, si affacciano di volta in volta nuovi tipi di civiltà mentre il pianeta sembra vivere più d’una rinascita. Metafora delle afflizioni dei nostri tempi, il libro è ricco di simbologie delicate e umanamente identificabili con le angosce dell’essere umano moderno, con i suoi sogni e le sue paure. Filo conduttore di tutto il libro, intessuto fra tratti fiabeschi e mitici, è Jenkins, uno dei migliori personaggi di tutta la bibliografia di Simak. Jenkins è l’automa/maggiordomo devoto alla famiglia Webster, che assume le funzioni di memoria storica dell’umanità, fino a diventare l’unico riferimento realmente “umano” del libro nonché protagonista malinconico dell’ultimo Epilogo. Durante la stesura di Anni senza fine, Simak pubblicò anche una serie di storie di guerra e western, sempre per riviste pulp, ma più interessanti da un punto di vista letterario sono alcuni altri esiti del periodo: L’anello intorno al sole (Ring Around the Sun, sempre del 1952, tradotto in passato anche come Mondi senza fine), riuscito romanzo di mutazioni e di poteri più o meno illimitati, spunti di riflessione sociale e psicologica, e il racconto lungo Il grande cortile (The Big Front Yard, 1958, vincitore del premio Hugo), col quale si assiste alla trasformazione di una casa rurale nella via d’accesso per mondi ignoti.
Nel 1957 scrisse Lulu, divertente racconto con le avventure di un’astronave innamorata del suo equipaggio costituito da tre uomini.
La produzione successiva Simak continuò a scrivere opere di successo, e qualitativamente apprezzabili, lungo tutti gli anni sessanta. Nel 1964 ottenne per la seconda volta l’Hugo grazie a quello che, insieme con Oltre l’invisibile e Anni senza fine, è generalmente considerato uno dei suoi capolavori nella lunghezza del romanzo: La casa dalle finestre nere (Way Station, 1963). Il protagonista di questa sorta di libro utopico è un guardiano solitario, incaricato del mantenimento dell’unica stazione galattica della Terra, nell’eventualità che arrivino viaggiatori da altri mondi. Il viaggio nel tempo si ripropone al centro della storia con Infinito (Why Call Them Back From Heaven?, 1967), i cui uomini si fanno ibernare nella speranza che venga un giorno scoperta la ricetta dell’immortalità; I giorni del silenzio (Cemetery World, 1973) presenta una Terra esanime, trasformata in un colossale cimitero dove i viaggiatori spaziali aspirano ad essere sepolti; L’ospite del senatore Horton (The Werewolf Principle, 1967) riporta in auge inquietudini legate all’alterazione della natura umana; L’immaginazione al potere (Out of Their Minds, 1970) propone uno straordinario esercito della fantasia come unica soluzione all’imminente rovina del mondo reale; in Pescatore di stelle (Time Is the Simplest Thing, 1961) il protagonista riesce a sondare le profondità dello spazio con le sole forze della mente; Camminavano come noi (They Walked Like Men, 1962), ironico e movimentato, intreccia le problematiche terrestri con gli oscuri disegni di razze aliene, le cui “speculazioni edilizie” non vogliono essere altro che lo specchio dell’accanimento dell’uomo sui suoi stessi simili.
L’isolamento delle masse e il loro conseguente confronto con ambienti ostili è invece alla base de Il villaggio dei fiori purpurei (All Flesh Is Grass, 1965) e La bambola del destino (Destiny Doll, 1971). Il tema della “fratellanza universale” è sviluppato da Simak a partire dall’idea che essa sarebbe possibile se, in futuro, si diffondessero i poteri extrasensoriali, in primo luogo la telepatia; questi aiuterebbero infatti a superare i problemi di incomprensione e incomunicabilità, portando le specie viventi ad un certo grado di empatia.
L’ultimo periodo La qualità delle produzioni più lunghe di Simak iniziò a diminuire negli anni settanta, insieme con il deteriorarsi delle sue condizioni di salute, anche se i racconti brevi continuarono ad essere ben accolti. Un esempio per tutti è La grotta dei cervi danzanti (Grotto of the Dancing Deer, 1981), che fu omaggiato, ultimo fra i suoi scritti, da diversi premi del settore. Se La riserva dei folletti (The Goblin Reservation, 1968), Fuga dal futuro (Our Children’s Children, 1973), Pellegrinaggio vietato (Enchanted Pilgrimage, 1975) rappresentano soprattutto validi esempi di science-fantasy, va denotato che ancora negli ultimi romanzi si fa sentire il problema dello scontro uomo-natura, del conflitto fra progresso e tecnologia da una parte e umanità e valori dall’altra, talvolta visto in maniera visibilmente pessimistica, laddove Simak pare pensare che nell’essere umano alcuni impulsi distruttivi siano innati e inevitabili e che per alcuni dei suoi errori non ci sia rimedio. Tra gli ultimi titoli di Simak, procedenti in parte in tale direzione, vi sono Eredità di stelle (A Heritage of Stars, 1977), Mastodonia (id., 1978), I visitatori (The Visitors, 1980), Il Papa definitivo (Project Pope, 1981), Il cubo azzurro (Special Deliverance, 1982). Fra mille difficoltà, dovute alla precarietà della sua salute, Simak riuscì, nel 1986, a completare e pubblicare il suo ultimo romanzo, La strada dell’eternità (Highway of Eternity). Morì due anni dopo.
L’eredità di Clifford D. Simak Considerato uno dei massimi scrittori di fantascienza di sempre, Simak ha negli anni raggiunto un successo di pubblico minore rispetto a molti degli autori più noti del settore (si pensi ai più o meno contemporanei Asimov, Bradbury, Clarke, Heinlein, van Vogt), ma ha dato vita, forse più di altri, ad un consistente seguito di veri e propri appassionati.
Il mondo della fantascienza lo riconobbe presto come uno dei suoi più validi esponenti, e nel 1977 fu il terzo a ricevere l’onorificenza del Damon Knight Memorial Grand Master Award alla carriera. Persino Isaac Asimov, il cui pensiero e la cui poetica erano pure tanto distanti da quelli di Simak, dovette riconoscere la propria ammirazione:«È una delle tre persone alle quali devo la mia formazione e carriera di scrittore. Devo ringraziare John Campbell e Fred Pohl di precetto, e Cliff Simak per il suo esempio».
In una postfazione al romanzo Camminavano come noi (They Walked Like Men), ha scritto Giuseppe Lippi:
«Per il lettore, comunque, il fascino non risiede soltanto nell’aspetto razionale e utopico delle parabole simakiane, ma in quello inconscio. Nelle fantasie di uomini che sono diventati demiurghi (come possono esserlo gli scrittori: creano personaggi dal nulla, modificano la realtà, hanno accesso a fonti di sapere segrete), che vivono in un limbo inespugnabile, hanno il potere di fermare il corso del tempo o si sono estraniati dalle bassezze del mondo. In They Walked Like Men rivive il dissidio fra misantropia e lealtà verso il mondo, fra solitudine e amore per la vita che, nonostante tutto, costituisce il legato più sincero di Clifford D. Simak.
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